Cosmetic – Core

Scriveva così Tondelli, nei suoi incantevoli Biglietti agli amici: “Quando nasce l’uomo è tenero e debole; quando muore è duro e rigido. I diecimila esseri, piante e alberi, durante la vita sono teneri e fragili; quando muoiono sono secchi e appassiti. Perché ciò che è duro e forte è servo della morte; ciò che è tenero e debole è servo della vita.

Riassumere la carriera dei Cosmetic in poche righe sarebbe ingiusto, così sulla scia di una necessità più emotiva che per amore di precisione, prendo in prestito le parole del loro corregionale. Perché non c’è molto da aggiungere: i Cosmetic sono proprio così. Teneri e deboli quando parlano della vita, duri e rigidi quando parlano della morte. In una parola non c’è spazio per la via di mezzo, per la tiepidezza. “Core” s’intitola questa ultima fatica, uscita per To Lose La Track e Dischi Sotterranei, e infatti qui di cuore ce n’è tanto. Stare al passo di una carriera che li ha resi una delle band più rilevanti degli ultimi anni nel panorama italiano è impresa tutt’altro che semplice. Dopo l’abbandono di Ivan Tonelli, che nel frattempo ha dato vita al progetto solista Urali, ancora di più. Difatti, nonostante le intenzioni ci siano tutte, questo “Core” a tratti potrebbe essere simile a un sentiero tortuoso e intricato da percorrere. Il risultato finale c’è e regge, ma non è per nulla definito, in certe scelte anzi sembra essere al limite del critico: i contorni sono smussati e i confini diluiti.

La concretezza però viene a galla, incisiva e diretta, come in “Fine di un’epoca” forse, nella sua semplicità innovativa di melodie e parole, il brano più riuscito di tutto il disco e che ci dice: “Dobbiamo soltanto imparare / ad imparare di più / e a non difendere / ciò che è obsoleto e vacuo”. Perché al contrario in “Scheggia” e “Tamara” si avvertono scelte che sanno di già sentito e di un vago e anonimo sentore grunge. Si perde la psichedelica acquistata nel precedente “Nomoremato” (2014) e un po’ delle sane tonalità noise e shoegaze che li contraddistingueva nei precedenti lavori. Ed ecco quindi 1986 che negli arrangiamenti convince, ma non nel testo, un po’ prevedibile e colmo di concetti vagamente abusati. Nonostante queste lievi cadute tuttavia i Cosmetic riescono in brani come “Quel poco di buono (che avevi fatto)” a ridestare curiosità e con lei – nel dipanarsi del racconto – la verità più recondita che chi ascolta si porta dentro. Così come nella successiva “La linea si scrive da sola” che coraggiosamente – impiegando l’ormai inascoltabile parola “cuore” – afferma che “Il cuore è uno specchio riflesso / che riflette solo se stesso / chi sono io non lo capisco / ti prego abbracciami adesso”. La durezza della realtà e la violenza della morte ritornano nella cinica affermazione che “un padre non ho mai avuto / un figlio non sono mai stato”. Così come “Schiaffino!” che fa cenno a certo hardcore e crea con In nero un nitido contrasto che trova la sua pace armata nella brevissima e mirabile “Paura del principio”, in cui la presa di coscienza di una crescita continua, che equivale alla vita, conclude questo intrepido viaggio post-adolescenziale. Mancavano i Cosmetic ed era una mancanza che si avvertiva.

Recensione apparsa su Mescalina.