Cosmo, Gazzelle, Pop X, Paletti, Adelchi: gli ultimi veri romantici o del perché la nostalgia ci fotte sempre

Saranno gli anni che passano e ti rendono più emotivo – anche se pure più razionale –, sarà che arrivi a un punto in cui improvvisamente ridimensioni ogni cosa. A volte, anche grazie a Stormi, mi scrivete e mentre mi chiedete consigli sulla musica da ascoltare capita mi raccontiate cose vostre, a volte anche molto private. Credo sia una specie di scambio di favori. Ogni settimana, oltre a parlarvi di musica indie vi racconto anche le cose che mi succedono, situazioni a volte personali: senza troppi giri di parole vi dico quello che penso e sparo giudizi sul presente, su ciò che vedo e vivo. Sono arrivato alla conclusione che soffrire per amore, in teoria, dovrebbe essere un evento accidentale, qualcosa di strano, inusuale, una sfiga e non la prassi. Con voi si parla spesso di amore, come dice Brunori: “perché alla fine, dài, di che altro vuoi parlare?”.

Questa settimana scrivo, in via straordinaria, di martedì mattina – i prossimi post su Stormi, dalla prossima settimana, torneranno ad essere pubblicati di sabato o al più di domenica – anche perché la settimana scorsa sono uscite due mie rece su Rockit abbastanza corpose: la prima su “Scudetto” di Galeffi, la seconda sul nuovo “Belmondo” dei Kaufman.

Mentre scrivo sono in fila alle poste, approfitto del tempo che altrimenti andrebbe perso come lacrime nella pioggia. A fianco a me ci sono due vecchi (questa cosa che sono sempre vicino a dei vecchi deve finire – o quantomeno farmi porre delle domande). Attendo il mio turno e mentre aspetto penso ad amici che stanno male e ci girano intorno da mesi. Vengo non vengo, usciamo non usciamo, ci vediamo non ci vediamo, stiamo insieme non stiamo insieme. Penso a tutto il tempo e le parole spesi per combattere contro uno stato delle cose che sembra invece come congelato e protratto verso l’infinito. Mi volto a osservare la coppia di vecchietti vicino a me. Ad un certo punto lui le tocca piano la mano, lei alza la testa, lo guarda negli occhi e sorride. Adesso vorrei uscire in strada, nascondermi da qualche parte e piangere. O voltarmi verso un’altra anziana vicino a me, fare come Nanni e dirle:


Non posso far niente di tutto quello che ho pensato perché a una certa chiamano il mio numero.
La signora delle poste mi guarda e mi fa: «Però avrei bisogno di un documento.»
«Sì, certo» le dico e glielo porgo.
Afferra la mia vecchia carta d’identità, la apre, guarda la mia foto poi solleva lo sguardo nuovamente verso di me, torna sul documento e resta qualche minuto con la bocca semiaperta. Sembra confusa.
Poi mi fa: «Adesso però mi devi dire cosa è successo».
«Prego?» faccio io.
«Qualcosa deve essere successo» dice abbozzando un sorriso.
«Come scusi?»
«E pure qualcosa di importante» insiste.
Continuo a non capire. Ora: vero è che io, socialmente, sono abbastanza rincoglionito. In poche parole non è che brilli di reattività. Se qualcuno, ad esempio, mi sussurra qualcosa con il labiale, regolarmente io non capisco mai un cazzo. Capita a volte che se qualcuno faccia una battuta io sia immerso nei miei pensieri da asperger e arrivi a ridere molto dopo rispetto a chi mi circonda.
Nel caso specifico della simpatica signora delle poste non avevo per niente inteso stesse parlando della trasformazione fisiognomica del sottoscritto in questi ultimi anni (in fondo trovate un confronto lampante tra la foto in questione e una scattata l’altra sera al Color Fest, al concerto di Sick Tamburo, Giorgio Poi, Lorenzo Kruger e Scarda, di cui parlerò più avanti in questo post).
«Ammetto che posso sembrare un tizio scappato in Messico o un latitante – le dico – ma davvero non c’è nessuna dietrologia. Forse soltanto la mia pigrizia intrinseca.»
Lei ride. Mi metto a ridere anche io, imbarazzato. Sembra molto divertita e io non so più cosa dire. Mi riprendo il mio documento, scambio di sorrisoni educati e me ne torno da dove ero venuto.
La settimana scorsa sono successe, come al solito, un casino di cose. Anche a causa della mia recensione su Rockit, si è creato un dibattito intorno a Galeffi. Galeffi sì, Galeffi no, Galeffi si ispira a Calcutta, Galeffi non c’entra un cazzo con la scena romana ed è originale, Galeffi non sa cantare, Galeffi ha fatto un dischetto, Galeffi è banale, etc. etc. Già il fatto che abbia destato tutta questa attenzione sicuramente è indicativo che il nostro meriti interesse. Intanto ha incassato un bellissimo pienone a Roma al Monk.
Le nuove cose promosse a questo giro sono:

Pretty Solero con “Pullover, anche se convince solo in parte, forse perché tende a ripetersi un po’. Arrangiamenti validissimi però come sempre.

Piccola perla invece la nuova dei Pop X “La prima rondine venne iersera”, che non si smentiscono mai, con un video importante: al primo ascolto ti congela, ma al terzo sei già totalmente preso dal tutto.

Giorgieness non delude con “Che cosa resta”, che potrebbe rappresentare al meglio l’argomento del post di questa settimana. Mi viene sempre abbastanza difficile trovarle dei difetti. Può piacere o no, ma l’energia che sprigiona unita a una coscienza tecnica considerevole fanno di lei un punto fermo del panorama indie italiano.

Discorso simile a Pop X è Cosmo. Se al momento del primo ascolto del nuovo pezzo “Turbo” ero rimasto un po’ attonito, non comprendendone il senso, il video – ben fatto – aiuta a capirne meglio le intenzioni.

Gazzelle ha annunciato per questa notte a mezzanotte l’uscita del suo nuovo pezzo. Il titolo è “Meglio così”:

Tanto per ricordare la bellissima casualità del pezzo di Enne, che s’intitola “San Junipero proprio come quello de Lemandorle, allo stesso modo un paio di giorni fa ha fatto capolino una new entry che ha tutta l’aria di essere più che meritevole di menzione. Si chiama Adelchi ed è uscito con un singolo e un video totalmente autoprodotti. La cosa assurda è l’incredibile sovrapposizione di titolo – anche se solo parziale, ma forse nemmeno tanto – tra lui e Gazzelle. Una cosa è certa: trattandosi di un totale sconosciuto, le mille visualizzazioni nell’arco di pochissimi giorni gli fanno onore.

Tra gli italiani che cantano in inglese spiccano Joan Thiele che esce pochi giorni fa con “Fire”, video e canzone al pari notevoli oppure Wrongonyou con la nuova “Shoulders”, anche con lui faccio sempre moltissima fatica a trovare eventuali punti deboli.

Discretamente riuscita anche la nuova de I Botanici, “Binario”, anche se, proprio come per Truppi di cui parleremo poco sotto, ci si aspetterebbe qualcosina in più. Soprattutto nella scelta degli argomenti dei testi e nel coraggio di sperimentare un poco e di uscire dagli schemi di genere.

Paletti con “La notte è giovane” mi convince perché questa volta si nota un lavoro immane dietro, molto curato. Nota di merito anche per il video.

Perla è anche la nuova di C+C=Maxigross “Torna a casa”, perfetta negli arrangiamenti come qualunque altra loro produzione.

L’ep d’esordio di HÅN “The Children” invece merita qualche attenzione in più e ne parlerò nel post della prossima settimana.

Esce poi ieri il video di “Argentario” di Carl Brave x Franco126: nemmeno a dirlo, il video è di Francesco Lettieri – e si vede.

Veniamo alle nuove cose bocciate.

Mi dispiace e mi dispiace davvero molto, perché ho sempre un po’ tifato per lui. L’ho ascoltato tanto. Ha toccato vertici di poesia indiscussi, ma questa volta l’ho sentito un po’ stanco. Si tratta del grande Giovanni Truppi, che questa volta esce con “Amori che non sanno stare al mondo” e non mi convince. Quando si è coscienti di ciò che si potrebbe avere in potenza, poi è abbastanza ovvio non riuscire ad accontentarsi.

Mi è piaciuta poco anche la “Bianca” Afterhours feat. Carmen Consoli. Noiosa nel volerla rinfrescare. Come quella volta che sentii Bob Dylan in concerto che si mise a proporre i riarrangiamenti di tutte le sue più belle canzoni che divennero cose informi irriconoscibili. Non ne comprendo la motivazione se non la necessità dell’artista di rompersi di meno i coglioni a suonare e cantare per tutta una vita gli stessi pezzi.

Molto freddo mi lascia anche Erica Mou “Svuoto i cassetti”, per cui riesco a resistere solo 25 secondi, tanto che per riprendermi ho dovuto prendere la strada dell’ipnosi terapeutica e inserire in loop il lisergico nuovo video degli OK GoObsession”.

Chiudo con Carlo Valente che con “Tra l’altro” mi ricorda, con sommo raccapriccio, una cosa di Vasco Rossi cantata da Cocciante. Fate voi.

Ripenso invece al bellissimo live di sabato al Color Fest a Bologna.
Era tempo che non vedevo un evento così ben gestito. A parte qualche piccolo inconveniente tecnico durante l’esibizione dei Sick Tamburo, il resto è stata emozione pura. Le foto sono di Claudia, che nonostante fosse senza reflex è riuscita a fare delle foto fighe pure con un 35mm.

Giorgio Poi ha suonato, come suo solito, magnificamente. Ho avuto l’occasione finalmente di sentire live la cover di Mina “Ancora ancora ancora”, che da qualche mese – per sua stessa ammissione quando più tardi ho voluto approfondire l’argomento con lui – sta proponendo nei suoi live. La potete sentire solo qui, al minuto 40.46.

Bene anche ScardaLorenzo Kruger, che ha reinterpretato le canzoni dei Nobraino al piano. Un sacco di brividi e a tratti, come sempre lui, molto divertente. E il dj set firmato Fabio Nirta.

Io oggi.
 Io tre anni fa.
Ripenso alla coppia di anziani e sogno un mondo di vecchi innamorati. Mi scopro sentimentale e pure nostalgico e mi scandalizzo di me. Lo sappiamo bene tutti quanti che la nostalgia ci fotte sempre, facendo leva su ciò che apparentemente ci manca, e che per non darle ascolto si dovrebbe invece guardare avanti, proteggendo quello che si è e quello che si ha: che è sempre molto e il più delle volte nemmeno ce ne accorgiamo.
Resta una domanda senza risposta: ma il romantico è chi, osservando un presunto romantico, ne nota il romanticismo? Oppure il romantico è soltanto colui che agisce come tale? Lascio a voi l’ardua sentenza. Se vi va di farmi sapere cosa ne pensate scrivetemi, altrimenti tenetevela per voi. Magari perché no chiedendovi a quale delle due categorie appartenete. Io ad esempio non ci ho capito un fico secco di dove sto io.
Però quei vecchi erano belli quanto una mattina d’estate.
Di domenica.
Col sole.