MadeDoPo – Un incubo stupendo

Se prendessimo le canzoni dei Management del Dolore Post-Operatorio e ci soffermassimo con precisione sui testi, si potrebbe condurre l’analisi sino al limite estremo e iniziare a parlare di poetica, di stile, di schemi non solo armonici, ma anche e soprattutto di significato e di sostanza, manifesti nell’affatto scontata perizia della scelta delle parole o come nella maturità del vaglio delle tematiche. È passato molto tempo da quando uscì nel 2008 “Mestruazioni”, il loro primo album e, se si attraversa la storia della band in un rapido excursus dei lavori precedenti, mai come in questo Un incubo stupendo si può percepire una crescita.

Ciò che a volte ha penalizzato il gruppo è una incapacità di chiamarsi fuori da una realtà originale forse troppo provinciale. La loro provenienza o, come direbbe il Poeta, il “natio borgo selvaggio”, con la sua mentalità frenante, è sempre dietro l’angolo. C’è chi, come molti hanno fatto, riesce a trarne linfa vitale o nuove storie da raccontare nella propria produzione artistica e chi invece corre continuamente il rischio di un vincolo inibente. “Auff!” all’epoca fu una vera e propria rivelazione, “McMao” la felice riprova di un lavoro che quasi gridava al miracolo, anche grazie a una felicissima collaborazione con il poeta abruzzese Paolo Maria Cristalli, amico di Romagnoli. Poi, come sempre accade in tutto ciò che subisce una parabola che sfiora per pochissimo la perfezione, una lieve caduta all’uscita di “I love you” in cui infatti ritrovarsi sembrava più difficile: per colpa di un incedere un po’ arretrato, un lento ripetersi che sarebbe stato rischioso per la band di Lanciano.

Ascoltare “Un incubo stupendo” è invece la nuova conferma di come si possa crescere, mantenendo la propria identità, e continuando a produrre bellezza. Sconvolge un po’ accorgersi come i MaDeDoPo ci siano riusciti ancora una volta. E la prova è che diventa impossibile, per chi ascolta, non arrendersi al fascino di testi che gridano verità, la stessa sofferta verità tanto cara a Luca Romagnoli e a cui inneggia, come un poeta maledetto, da anni nei live (che sono sempre stati un’altra nota di merito del gruppo, nella capacità dell’istrionico frontman di intrattenere il suo pubblico con digressioni a volte eccessive, provocatorie ma mai inopportune).

Quindi, bella e spietata, ecco “Naufragando” in cui la presa di coscienza dolorosa che “io che passo la vita ad inciampare / tra le mie domande e le mie paure” ci costringe a ripensare le priorità della nostra vita: “io farei di tutto per vederla ridere / se potessi sarebbe il mio lavoro”, in una nenia ipnotica che ci culla e che non dà scampo. Il bilico perenne, che li contraddistingue, tra post-punk e gli appianamenti più pop torna a galla in “Un incubo stupendo” così come ne “Il vento”. “Il tempo delle cose inutili” ci mostra ancora una volta come per i MaDeDoPo sia impossibile fingere. Ed è in questa autenticità, totalmente incapace di scindere arte e vita, che sta il loro vigore. “Il mio corpo” e “Una canzone d’odio” sono forse i brani meno riusciti di tutto il disco, perché optano per scelte che non aggiungono né tolgono nulla né alla veduta d’insieme né al particolare. Ma è in “Esagerare sempre” e “Visto che te ne vai” che ritornano alla mente certe bellissime tracce di “Auff!” o “McMao”, senza però alcun odore di già sentito, ma una solida identità che poi trova la sua ratifica finale nelle fughe rock di “Marco il pazzo” e “Ci vuole stile”.

Di una cosa sono convinto: un libro dev’essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi.”: questo scriveva Kafka a proposito della capacità della letteratura di alterare e trasformare tutto ciò che entra in contatto con lei. E qualcosa di molto simile ci accade anche quando a conficcarsi in noi, come un coltello rovente che lacera e allo stesso tempo lenisce, è la musica. Ma nel caso dei Management del Dolore Post-Operatorio non solo di melodia o di ritmo si può discutere. Pochissime band in Italia possono vantare la nobile arte del comunicare attraverso la parola come loro. Brividi lungo la schiena mi corrono se penso a testi del calibro di “Requiem per una madre” o “Hanno ucciso un drogato”. Luca Romagnoli e i suoi in questo da sempre sono maestri e in “Un incubo stupendo” i MaDeDoPo sono più loro che mai.

Recensione apparsa su Rocklab.