Nomi nuovi, grandi ritorni e del perché i nonni sono più indie di chiunque

Facciamo una vita di merda e lo diciamo continuamente. Un po’ è vero, non dico il contrario. Basta guardare alla realtà dei fatti. Chi non ha lavoro, chi ce l’ha ma con uno stipendio da fame, di quelli che vanno tanto adesso (rigorosamente con una cifra che si aggira, chi più chi meno, sui 1000 euro al mese). Lavoriamo o studiamo tutta la settimana per poi arrivare il sabato e la domenica (per chi si può permettere due giorni di fermo) con una manciata di ore libere da dedicare a tutto il resto.
E niente, questa mattina, appena sveglio, per un attimo ci ho pensato di tornare allo stesso bar dei vecchi della bassa Romagna del post della settimana scorsa.

Cosa ci potrà esser di così mostruoso in un paese di vecchi?
Come Nanni Moretti in “Caro Diario”, che parla di Spinaceto, una volta che ci sei dentro te ne accorgi. “Be’ Spinaceto (nome paese di vecchi a caso) pensavo peggio! Non è per niente male”.
In fondo stavo bene in quel piccolo mondo polveroso e congelato. Tutti pensionati e tutti felici, a sputtanarsi i soldi di una vita alle macchinette o a giocare a calcino da soli. Poi ho pensato che se per un vecchio la salvezza è restare, dicono, giovane dentro, forse, mi sono chiesto, forse potrebbe essere vero anche il contrario.
Cosa deve fare, nel 2017, uno che ha venti o trent’anni per sopravvivere?

Una risposta, senza ombra di dubbio, possibile è: essere vecchio.
Il mondo prima era meglio. Nel mondo prima si stava meglio. Ma com’era il mondo prima?
Nelle orecchie le parole dei Tre allegri ragazzi morti e negli occhi i disegni bellissimi di Tuseiporpora, che non potete non conoscere.

tuseiporpora

La vecchiaia fa bene, è genuina. Del tipo di quella dei locali che alla tv hanno i video dei Dandy Warhols tipo Bohemian like you” o “Californication” dei Red Hot Chili Peppers o, che ne so, i Police.
Un po’ a tutti è capitato – e non dite il contrario perché siamo tutto complici – di pensare ai vecchi come a scarti della società, gente parassita che vive sulle spalle della generazione produttiva in corso.

Un giovane nel 2017, per esser vecchio, quindi un uomo lento e d’esperienza che fa le cose bene, in pratica deve:

  • Rompere i coglioni. Decidersi per un obiettivo e rompere i coglioni per raggiungerlo. Farsi sempre un piano A e un piano B, poi un C, e via di seguito. Se a un vecchio proibisci, ad esempio, per motivi di salute, di bere, questo farà di tutto per farlo. E, in un modo o nell’altro, di sicuro ci riuscirà.
  • Avere come punto di riferimento quei pochi amici rimasti.
  • Prenderla con calma.
  • Essere indiependenti. Quindi testardi.

La prossima settimana, ad esempio, io mi laureo. A 34 anni. E anche questa mattina ho deciso di prenderla con calma. La lentezza è un modus operandi che ti fa fare, quasi sempre, meglio le cose.
Non sto dicendo che non si debba far nulla o si debba far di meno. Io, se mi volto indietro, ho fatto un sacco di cose e, lo dico per gli ansiosi che mi stanno leggendo: qualunque età abbiate, state tranqy che le occasioni di svoltare arrivano e arriveranno sempre. E ve lo dice uno che ha lavorato un po’ ovunque: come contadino in campagna per mantenersi gli studi, come operaio in una ditta di traslochi, ma anche in grosse aziende di comunicazione o per multinazionali importanti.

La situazione oggi è questa: “È aumentata la produzione lorda e netta, il reddito nazionale cumulativo e pro capite, l’occupazione assoluta e relativa, il numero delle auto in circolazione e gli elettrodomestici in funzione, la tariffa delle ragazze squillo, la paga oraria, il biglietto del tram e il totale dei circolanti su detto mezzo, il consumo del pollame, il tasso di sconto, l’età media, la statura media, la valetudinarietà media, la produttività media e la media oraria al giro d’Italia. Tutto quello che c’è di medio è aumentato, dicono contenti. E quelli che lo negano propongono però anche loro di fare aumentare, e non a chiacchiere, le medie; il prelievo fiscale, la scuola media e i ceti medi. Faranno insorgere bisogni mai sentiti prima. Chi non ha l’automobile l’avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore a ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tra apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l’asciugacapelli, il bidet e l’acqua calda. A tutti. Purché tutti lavorino, purché siano pronti a scarpinare, a fare polvere, a pestarsi i piedi, a tafanarsi l’uno con l’altro dalla mattina alla sera.

Luciano Bianciardi scriveva così in “La vita agra”. Nel 1962. E a quanto pare aveva ragione.

Questo lunghissimo, ma penso doveroso, pippone iniziale, per dire che – in misura molto meno decisiva rispetto a quella esistenziale di cui si parlava sopra – un ritorno ai sani valori di una volta – credo che firmerò questo post col nome di Tonino Guerra – si vede necessario anche nella musica. Ciò è auspicabile e, per fortuna, sembra stia già accadendo: il periodo d’oro che sta vivendo la musica indie italiana è indubbio – perché è indubbio che erano anni che non si trovava una produzione così ampia e al contempo così spesso valida di cose – in particolare in questo 2017.

Lasciamo da parte i vari Calcutta o I cani, e l’attesa infinita per i loro nuovi lavori (come si diceva la lentezza per far bene le cose è sacrosante – tanto importante l’attesa da aver causato la creazione di pagine acutissime come Aggiornamenti quotidiani sul quarto album di Contessa, che ogni giorno pubblica un “Non è uscito” –) o la registrazione a New York del nuovo disco di Motta.

indiemotta

È bellissimo vedere come anche figure affermate come Colapesce tornino a stupire, e soprattutto a sperimentare, con un album, “Infedele”, uscito ieri 27 ottobre: a mio parere un lavoro enorme: anche grazie alla produzione del sempre irreprensibile Iosonouncane.

Perciò il vero senso della parola indie ritorna, ritorna perché la sperimentazione significa indipendenza, significa avere una visione ben definita di chi si è ed essere fedeli alla propria identità, anche se questa non coincide con il comune andazzo.

Penso ad esempio a una trasmissione radiofonica nata da pochissimo che mi ha steso, letteralemente. Si chiama Chuckbass.

Due ragazze, Elisa Ics Fosco e Claudia Ciccarelli, si ritrovano a fine giornata per parlare di tutto ciò che gli piace, soprattutto di buona musica: oltre alle scalette assolutamente competenti e di livello che propongono, anche di gruppi che erano bellissimi e che cazzo di fine hanno fatto nessuno lo sa – tipo i Vampire Weekend o gli Arctic Monkeys – ci fanno ascoltare cose bellissime appena uscite come l’esperimento italofono “Ti amo” dei Phoenix, che adoro.

Le potrete ascoltare tutti i mercoledì dalle 21:30 su una radio fighissima che si chiama Staradio (provare per credere).

Penso poi, e guardo, a progetti come Coma_Cose, che mescolano un’identità melodica che sa un po’ d’antico al rap, e che con “Anima latina” in “Anima Lattina”, uscita un paio di settimane fa, citano un Battisti sempre più citato, direttamente o indirettamente, e tra l’altro entrato da due giorni – ancora non c’era? – nella dizionario biografico degli italiani.

O ancora a gruppi come i Vangarella Country Club con la bellissima “7EURO”.

O a San Diego che nella bellissima “Meme” dice “me ne vado via” e invece per fortuna resta e fa uscire ventiquattro ore fa il notevole “DISCO”.

O a Dutch Nazari appena uscito con il singolo “Qui da poco” raggiungibile su Spotify.

Un altro che si fa valere è Supernino, un tipo apparentemente deciso, uscito qualche giorno fa con un nuovo singolo, contenuto in “Eday EP”, che mi ricorda tanto certe cose di un Samuel dei Subsonica, però più cazzuto, con “La febbre del nulla”.

Tra le cose che non mi sono piaciute e che vi invito a evitare ci sono Galeffi con la nuova “Occhiaie”, a tratti deludente, degno comunque di nota per le cose fatte, e che però non riesce questa volta a entusiasmarmi.

Tornando alle new entry improponibile Manfredi: incarna tutta l’omologazione fisiologica che si accompagna alla produzione così viva dell’indie oggi. S’intotala “20143 Milano Navigli” ed è uscita qualche giorno fa. Ditemi voi. Se si possa fare peggio di così. Qualcuno, giustamente, sotto al video su Youtube ha commentato “Povia+Thegiornalisti”. Non avevo la forza di linkare, ma l’ho fatto solo per diritto di cronaca.

Mi piace invece Gigante, che nonostante nasconda in sé suggestioni alla Iosonouncane, riesce a creare qualcosa di personale e valido e fa ben sperare sulle prossime produzioni.

Ma non tutto è esordio. Ci sono stati in questi giorni anche tanti grandi ritorni.

La Municipàl, ormai un mese fa, con “Vecchie dogane”.

Oppure il ritorno dei Gomma, finalmente usciti con qualcosa di nuovo. Lo dico sinceramente, forse ci si aspettava qualcosa di più. La band campana di “Elefanti” ritorna con un brano che crea un interessante effetto vedo non vedo, ma che forse lascia un po’ deluso chi era abituato ad ascoltarli ad esempio in “Alessandro”. Non hanno scuse, il talento c’è e l’hanno ampiamente dimostrato. Vedremo cosa ne verrà fuori.

Oppure il nuovo singolo dei Sick Tamburo che da anni ormai non sbagliano un colpo. Usciti con un nuovo bellissimo video, quello del brano “Meno male che ci sei tu”, incantevole feat. con Motta.

Il mese prossimo, qui su Stormi, che da qualche giorno ha anche una pagina su Facebook, tornerà anche la rubrica agenda. Per intenderci quella in cui vi elenco i cd che mi avete mandato via posta o sulla mail, le prossime recensioni e quelle appena uscite, le cose da non perdere, gli ultimi ascolti, gli emergenti, etc.

Scrivete qui se suonate o cantate e volete mandarmi roba o girarmi cose di altri.

Chiudo questo lunghissimo post con il nuovo video di Gazzelle, come già vi dicevo nel post della settimana scorsa, che è uscito con un piccolo capolavoro, già abbondantemente testato live questa estate.

E la notte si prende quello che vuole
e non rende quasi niente
è che siamo soltanto persone sole
e non succede niente.

Poi mi sveglio di notte con gli incubi in testa
e una valigia già piena da un anno che mi detesta
e non crescono i fiori, è vero, dove cammino io
ma nemmeno è tutto nero.

Siamo come giornate buttate al cesso
come sorrisi spenti, in mezzo ai denti, a tempo perso
e non crescono i fiori, è vero, dove cammino io
ma nemmeno è tutto nero.

Alla fine, in tutta questa incertezza, ho deciso di andare in riviera.
Non sarà il mare d’inverno, ma oggi fa freddo comunque.
Io mi sento vecchio. Ed è tutto bellissimo.